SIREN: “The Row” la recensione di MIE
Il caffè è sulla scrivania, i brani pronti per essere riprodotti, le cuffie a tutto volume e le mie orecchie protese all’ascolto. Mi appresto dunque a conoscere il primo lavoro della band Siren, formatasi nel 2013 a Pesaro e sotto contratto dal 2014 con la Red Cat Records. Il 2014 è anche l’anno di uscita del loro disco “The Row” che, proprio ora mentre scrivo, spande il suo sound fra i miei pensieri. Ma prima di parlare dell’album conosciamo meglio la formazione.
I Siren sono Samuel Frondero, voce e chitarra, Jack Nardini, chitarra solista e cori, Marcus Kawaka al basso, ai synth e ai cori e infine Mark “Spud” McKenzie alla batteria. La composizione a quattro è fra le più classiche e versatili, il che mi permette di immaginare cosa andrò ad ascoltare ancor prima di far partire il primo brano, ma è inutile giudicare un gruppo dai componenti, sarebbe come giudicare un libro dalla copertina. Nonostante la formazione classica è necessario fare una precisazione: un conto è saper suonare, un altro è saper comporre ed essere originali. Non fraintendetemi, è ovvio che i Siren abbiano subito influenze dal panorama musicale al quale fanno riferimento (in particolare il rock d’Oltreoceano), non esiste band che non lo faccia, ma in “The Row” non ho colto accenni di banalità. Spesso mi capita di ascoltare gruppi che riutilizzano riff, coadiuvano male gli strumenti fra loro o si perdono dietro a testi di frasi fatte, ebbene questo non è il caso dei Siren. Ogni componente ricopre egregiamente il suo ruolo, non vi è mai preponderanza dell’uno sull’altro. Le composizioni sono quelle di un gruppo alternative con influenze rock e l’album presenta una discreta varietà di sound.
“The Row” presenta all’ascoltatore 11 tracce (niente male per essere il primo lavoro), come ho già detto tutte con una propria unicità. Nessuna ripetizione e l’ascolto prosegue con una certa dinamicità, determinata soprattutto dalla opener e dall’ultimo brano, che danno proprio l’impressione di introdurre all’ascolto e di chiudere l’intera composizione (curioso il fatto che siano rispettivamente la traccia più breve e quella più lunga).
L’album è interamente in inglese, lingua con la quale i Siren si dilettano piuttosto bene; nonostante la percepibile cadenza nostrana, la discreta pronuncia copre le piccole imprecisioni.
“Swan’s Tale” apre l’intero lavoro con un’atmosfera sognante, a tratti un po’ noir. Un arpeggio di chitarra accompagna per 2 minuti l’alternarsi del cantato di Samuel con una voce femminile, senza ombra di dubbio azzeccata e perfetta nell’esecuzione.
La seconda traccia, “Dr. Saint”, nonché primo singolo estratto dall’album (andatevi a vedere la clip ufficiale su YouTube, davvero ben realizzata e molto suggestiva, con oltre 180.000 views in pochissimo tempo..), ci presenta un insolito personaggio che prende il nome dal brano stesso. Al di là del testo, la canzone segue un’ottima progressione, mantenendo un ritmo attivo per tutta la sua durata e presentando un penetrante riff di basso.
“Lonely Dance” viene introdotta da un sound cupo e sussurrato da una chitarra e dal basso, pronti però ad esplodere dopo pochi secondi in una traccia dinamica e graffiante. La chitarra solista trova qui il suo spazio, sfruttando nel miglior modo la propria strumentazione (Whammy pedal).
“Track ‘92”, devo dire, mi ha particolarmente colpito. Molto melodica e classica grazie all’arpeggio iniziale e alla linea vocale, segue un andamento rilassato per il primo minuto per poi sino a giungere all’ultimo minuto dettato da una forte aggressività e potenza, espressa da tutti i componenti al meglio. Non commento ma cito egualmente “Roger Sabbath” e “Spit”, essendo le canzoni che più ho apprezzato. Invito ad ascoltare per conoscere a pieno i Siren.
Un disco davvero soddisfacente e piacevole. Saluto la band, sperando di sentir presto un loro nuovo prodotto, visto il risultato del primo.
Lorenzo Bartolini