Nuovo ep per Samuele Fortunato. L’intervista su MIE.
Secondo ep per Samuele Fortunato che con il suo ultimo lavoro “Ta dà!” racconta alcune storie con “alti” riferimenti cantautorali. Un’inusuale avventura di Samuele diventa un disco plastico, ricco di riferimenti, con elementi sonori ben delineati, una visione a volte un po’ ondeggiante e la carica di canzoni intense e sincere.
Lisbona-Pisa, il videoclip su Youtube
“Ta da!” è il titolo del tuo secondo EP. Immagino ci siano riferimenti alle tue esperienze di vita e a quello che ti ha reso padre?
Sì, è così. Tutte le canzoni sono puramente autobiografiche. Non riesco a scrivere di cose o situazioni che non ho vissuto sulla mia pelle, la mia fortuna è che ne ho viste tante, quindi avrò molte cose ancora da raccontare.
Parliamo di “Lisbona-Pisa”, l’unica canzone di cui si ha un videoclip. Da cosa è nata l’esigenza di questo tuo viaggio?
La canzone parla di Sara e Adele, due persone molto importanti nella mia vita. Una viveva a Lisbona e l’altra, ovviamente, a Pisa. Questa canzone parla in realtà del desiderio del viaggio, dell’assenza, del continuo perdersi nel mondo. Uno fa di tutto per stare vicino alle persone che ha nel cuore e poi si trova dalla parte opposta del globo, no? Non è quindi un viaggio che ho fatto veramente, anche se a Pisa ci ho vissuto per breve tempo.
Qual è il tuo approccio nello scrivere musica e nel farla conoscere?
Le canzoni mi escono di getto, raramente vengono riprese o rielaborate. È una cosa molto naturale, come fosse un’esigenza primaria, in quel momento io devo necessariamente scrivere quella canzone. La parte successiva al lavoro di produzione, cioè la pubblicità, il far conoscere il proprio lavoro, mi interessa relativamente. Non è lo scopo ultimo del mio lavoro, sebbene sia necessario per rendere la mia passione, appunto, un lavoro.
Quali sono le difficoltà, secondo te, degli artisti indipendenti e “sconosciuti” di oggi?
Sicuramente la mancanza di spazi dedicati alla musica, luoghi per concerti, sale prove. Ora si fanno i live per pagarsi i dischi, mentre un tempo si facevano i dischi per potere fare live. Il modo in cui le grandi case discografiche lavorano taglia automaticamente fuori gli emergenti, io ti faccio un contratto se tu sei già “famoso”. È abbastanza difficile ora come ora uscire dalla bolla degli “emergenti”.
L’ep su Spotify
Dalla tua biografia leggo che hai lasciato tutto quello che chiamano “lavoro vero” per dedicarti alla musica. Immagino che la tua battaglia sia ancora in corso. Come sta andando?
È un percorso difficile. Capita spesso, per mancanza di soldi, di dover dormire per strada. Spesso vengo ospitato in cambio di concerti privati diciamo, un ottimo compromesso. Credo che quando qualcuno prende una decisione del genere debba necessariamente assumersi le proprie responsabilità. Sapevo che ci sarebbero stati tempi duri, e non hanno tardato a presentarsi. Ci sono arrivato preparato però, quindi non ho alcun diritto di lamentarmi perché non posso permettermi un drink con gli amici o una vacanza al mare
Con tutto quello che sta accadendo e, passami il termine, l’incazzatura di chi vive di cultura, cosa pensi?
Credo sia un ottimo momento per far capire alla gente quanto l’arte sia un bene di prima necessità. Non siamo dei saltimbanchi, non siamo un qualcosa di cui si può fare a meno. Se di colpo la musica sparisse, ecco forse in quel momento le persone si renderebbero conto di quanto sia necessaria, di quanto gran parte della nostra emotività si fondi su di essa. Sarebbe un periodo eccellente per creare una sorta di “sciopero dell’arte”.
I tuoi riferimenti artistici sono “alti”: David Bowie, Rino Gaetano, De André, Tenco, Sergio Caputo. Pensi che chi fa musica debba avere rispetto per il passato della musica italiana e per chi l’ha resa grande?
Assolutamente sì, credo sia necessario per chi decide di far musica conoscere chi prima di noi ne ha gettato le basi. Sarebbe altrimenti come uno scrittore che non ha mai letto Dostoevskij, no? Non sapresti neanche a che gioco stai giocando. Penso però che sia anche necessario non farsi intimidire, non bisogna per forza creare lavori di quei livelli, che ognuno faccia il suo insomma.