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Mattia: l’esordio pop dai contorni umani e digitali. L’intervista su MIE.

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la redazione di MIE

Nipote di importanti cantanti lirici ma figlio e partigiano di questa scena indie-pop che ha sempre più bisogno di penne sensibili e, soprattutto, cariche di personalità.

Cantautore modenese, Mattia, sforna questo primo full length autoprodotto dal titolo “Labirinti umani” lanciato anche in rete dal video della title track.

Un lavoro che pone le sue forze nella melodia sempre attenta al gusto main stream ma anche alla distesa di dettagli mai lasciati in secondo piano e anzi, cuore pulsante del gusto artigiano di questa autoproduzione.

“Labirinti umani” è un disco sulle relazioni umani, di pop che sfocia nella dance elettronica, di canzone d’autore che diviene, per molti tratti, un piccolo film dei giorni nostri.

Labirinti umani, il videoclip ufficiale.

 

 

L’intervista a Mattia.

Parliamo di esordi e lo facciamo sempre con grandissima passione. Per noi sono il futuro. Secondo te, con occhio critico, quanto futuro c’è dentro il tuo disco e quanto invece c’è un inevitabile restar aggrappati a delle origini? Cioè in questa tua prima prova senti di esserti spinto a cercare qualcosa di “nuovo” o hai volutamente interpretare a tuo modo le radici che hai nel tuo background?

Credo di aver cercato semplicemente di essere me stesso. Indipendentemente da delle intenzioni. Ogni canzone, ogni testo e ogni melodia raccontano più che altro il presente. L’emozione e l’ispirazione che vivevo in quel preciso momento a prescindere da intenti o dall’esigenza di studiare un qualcosa che si ispirasse al passato o che innovasse il panorama musicale.

In fase di arrangiamento, invece, ho cercato di rimanere ancorato a sonorità attuali, lontane dalla musica del passato.

 

E per restare in tema: parli di influenze rockeggianti: cosa intendi di preciso?

Personalmente le maggiori emozioni che ho provato ascoltando musica sono gran parte derivanti da musica rock. Per questo credo che tra tutti i generi musicali quello che mi ha influenzato o comunque toccato maggiormente è stato il rock. Amo i Queen, I Cranberries, gli Skunk Anansie, i Florence and the machine… un Rock molto melodico che ha senz’altro influenzato il mio gusto musicale.

 

Mi piace moltissimo questa copertina e spulciando in rete so che è una domanda frequente. Non siamo grafici ne disegnatori ma ci sembra evidente l’incontro di stili differenti ma soprattutto di simboli che nel disco tornano importanti. La tua foto, il disegno… i colori… la notte… come si lega tutto questo al titolo “Labirinti umani”?

La copertina è stata realizzata da un amico, Jonathan Picard, un artista francese che fa il grafico. Grazie alle sue osservazioni e a diversi incontri siamo riusciti a legare il senso del titolo dell’album ad un’immagine e al tema delle canzoni con un immagine forte e potente capace di restare impressa…

E così l’idea è stata proprio quella di rappresentare me in bianco e nero con uno sfondo di grattacieli colorati senza perdere il simbolismo delle grafiche dei precedenti singoli (i colori, lo stile stilizzato, la lacrima blu dal volto richiamata ogni volta) Tutto questo è stato pensato proprio per rappresentare la contrapposizione tra ciò che circonda un emozione e l’emozione stessa che stai vivendo…

Il senso di disorientamento labirintico che puoi provare in una città altro non è che il disorientamento del proprio animo quando perdi qualcuno, quando ti senti solo, quando combatti a momenti alterni tra felicità e tristezza, tra passato e presente, tra amore e odio, tra vita e morte, tra vizi e virtù.

 

Parliamo di autoproduzione. Limiti e vantaggi? Il fare tutto da se, secondo te, non rischia di farti restare dentro le tue convinzioni senza darti modo di sperimentare nuove soluzioni?

Si, probabilmente il rischio c’è… e senza l’aiuto di un amico arrangiatore con il quale abbiamo sviluppato le sonorità probabilmente mi sarei fatto del male da solo. Il confronto mi ha aiutato ad elaborare sonorità attuali che potessero incontrare maggiormente i gusti odierni. Avessi agito esclusivamente secondo i miei intenti iniziali avrei creato sicuramente un prodotto più vecchio e meno originale.

Tuttavia autoprodursi significa anche essere se stessi, non legarsi a qualcosa che non ti piace e che ti renderebbe meno spontaneo. Meno autentico.

Gli svantaggi non sono pochi. Se parliamo di mercato musicale, di budget, di conoscenze e canali di diffusione l’autoproduzione per un artista emergente porta senz’altro sacrifici e minori ricompense. Non solo in termini economici.

 

MIE Vol.17 – la playlist di Maggio 2020

 

Nella tua biografia viene sottolineata la figura di Michele Torpedine. Un momento chiave per te? Che incontro è stato?

Michele Torpedine è arrivato nella scuola che ho frequentato per ascoltarci uno ad uno. Ero terrorizzato, anche perché è stato un incontro a sorpresa. L’obiettivo era dare un’idea sui nostri progetti, esprimerci una sorta di giudizio costruttivo. Io nemmeno immaginavo potesse “bazzicare” per quei corridoi.

Così ha sentito due brani che gli sono piaciuti, in particolar modo lo ha convinto “labirinti umani”. L’incontro mi ha dato la voglia di andare avanti e di credere nel mio progetto. È stata una sorpresa senz’altro stimolante. Anche difficile per certi versi.

Quando incontri questi big della musica ti crei mille aspettative e ti fai dei viaggi mentali irrealizzabili. Che ne so, magari ti immagini che ti dica “stupendo, voglio le tue canzoni, ti finanzio, sei un talento nato…” ma non è cosi! Ricordo che mi disse che il lavoro era buono ma che non bastava scrivere qualche brano per fare un album. Mi suggerì di scrivere almeno 100 canzoni e, solo alla fine, selezionare le migliori.

Ma che ero sulla buona strada. Uscito da quell’incontro ero felice e motivato. Poteva stroncarmi o rimanere indifferente ma così non è stato. Tuttavia ero indietro col mio lavoro, avevo già diversi brani, pochi soldi e molti arrangiamenti da produrre ed ero solamente a metà strada. Mi sono reso conto anche della fatica oltre che del piacere nel fare musica. E questo purtroppo è vero.

 

Da esordiente: senti che il pubblico recepisca l’arte della musica? Al di la del momento drammatico che viviamo, in generale senti che le tue liriche, che il tuo suono, arrivi alle persone come deve? Vedi reazione nel pubblico (bella o brutta che sia)?

Credo che la musica arrivi alle persone spiccatamente sensibili. Personalmente ho ricevuto delle grandi soddisfazioni. Anche se ad essere onesti avere un nome, un immagine conta per farti ascoltare. Le persone non sempre riescono a riconoscere e distinguere un buon brano. Il punto è che se tra dieci brani devi ascoltarne a caso 3 non sempre scegli i nomi sconosciuti ma tendi a dedicare più attenzione ed interesse ai volti famigliari.

Oppure fa una scelta legata all’immagine. Legare immagine e fama alla musica può essere controproducente per la musica stessa. Se per farmi ascoltare devo mettermi in mutande, ostentare ricchezza, litigare in diretta, suscitare scandalo e tingermi i capelli di rosa o vestirmi come un imbecille abbiamo un serio problema. Io personalmente non so nemmeno che faccia abbiano la gran parte degli artisti che ascolto. Ma forse sono io che sono all’antica!

 

Labirinti umani, l’album di MATTIA su Spotify

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