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Marcello Capozzi: la distopia, il pop, la rinascita

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la redazione di MIE

Un viaggio davvero interessante quello di Marcello Capozzi, un lungo percorso che par cambiare di pelle e di lingua, di geografia ma anche di ragione.

Si intitola “Offshore” pubblicato dalla label abruzzese I Dischi del Minollo. Lavoro questo che in qualche modo da un’idea di perdersi a largo di un personalissimo mare. Marcello Capozzi ragiona su tutto questo e su un ordine personale dentro un brit-pop distopico e sospeso che sembra non chiudersi mai.

Che poi questo video dell’ultimo estratto sembra concederci molto dell’intero ascolto…

Six Years Later, il video ufficiale.

L’intervista a Marcello Capozzi.

Un disco che ha avuto una genesi e una presentazione assai misurata, decantata in stagioni. Perché questa scelta?

Perché tale approccio è stato funzionale al racconto di Offshore, che è un album e una serie musicale articolata sulla falsariga delle modalità comunicative tipiche delle serie tv. E poi è stato un modo per riportare gradualmente a galla il mio nome, prima dell’uscita ufficiale del disco vero e proprio, visto che erano otto anni che non proponevo pubblicazioni ufficiali.

Che stagione è questa di “Offshore”? Che stagione è questa di Marcello Capozzi?

Una stagione di condivisione. Per molti anni ho coltivato un’autonarrazione solitaria, trovando motivazione tramite senso di inimicizia e stando iperbolicamente ai ferri corti col mondo. Oggi sono motivato dal senso di gratitudine nei confronti di chi mi ha dato una mano a realizzare un progetto molto complesso e dal desiderio di innescare ulteriori occasioni di collaborazione e contaminazione. Come sempre, non so se dalle idee scaturiranno concrete realizzazioni, ma l’importante è trovarsi nello stato mentale in cui si desidera che certe cose accadano.

Bella la copertina. L’ordine dentro il caos… sbaglio?

Ognuno è sempre autorizzato a interpretare scegliendo la chiave di lettura prediletta. Ragionando a partire dalla tua osservazione, mi viene da dire che l’avventura esistenziale intrapresa dal protagonista di Offshore (che si dipana in due paesi diversi) si relaziona certamente al caos delirante delle nostre società.

Tuttavia, come spesso mi è capitato di osservare: la vita in società non è l’unica dimensione attraverso la quale esperiamo il nostro stare al mondo. Per cui è plausibile immaginare un percorso nel quale ogni conflittualità oggettiva possa essere superata, aprendo un varco, connettendosi a un ordine vasto, superiore e ulteriore allo stesso consorzio umano. Uno strenuo tragitto dall’Esistente all’Essere.

E restando dentro questa chiave di lettura, ho trovato che il caos si annida dentro le liriche e i suoi messaggi, l’ordine dentro le melodie assai tradizionali. Sbaglio?

Qui vale lo stesso principio di prima: si ha sempre facoltà di offrire personali chiavi di lettura. Che siano o meno tradizionali (non saprei stabilirlo), mi sembra evidente che Offshore sia connotato da numerose aperture armoniche stratificate, poggianti su strutture melodiche perlopiù limpide.

È una caratteristica che lo differenzia parecchio dal mio disco precedente, molto più oscuro e direi anche introverso. Personalmente, non ho memoria di aver tentato consapevolmente di separare gli approcci tra narrazione testuale e ordine melodico: ma si tratta di un disco scritto molto tempo fa e non necessariamente le mie risposte sono quelle giuste. La tua chiave di lettura mi sembra interessante.

“Offshore” su Spotify

 

Ispirazioni per “Offshore”? Ci trovo l’Italia ma anche un certo mondo inglese e forse anche americano…

Per fare qualche esempio: in Dei miei stivali prevale un’attitudine melodica italiana; London Bridge e Anelli siderali suonano inglesi; il dark folk di Mors tua (una sorta di western urbano) e forse certi elementi desertici del brano Offshore tendono all’America. Mi sembra che le coordinate siano proprio quelle.

Elettronica e nuove frontiere del suono? C’è della ricerca personale in questo lavoro?

C’è stata molta ricerca di soluzioni adeguate alle ambizioni espressive e tanta abnegazione per migliorare le mie capacità di esecuzione. Ma parte della ricerca è stata anche individuare i collaboratori giusti per risolvere quei problemi che non sarei riuscito a risolvere da solo.

Se, come dici, abbiamo varcato qualche tipo di soglia, è accaduto perché – a un certo punto del percorso – ho incontrato Carlo Natoli. Con i suoi occhialoni da nerd, lui si è messo fraternamente al mio fianco a discutere, congetturare e a pianificare una strategia efficace per fregare le guardie e superare i controlli di frontiera.

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