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Le Frequenze di Tesla: quando l'indie incontra il classico. L'intervista su MIE.

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La redazione di MIE
Un piccolo combo bolognese che sforna con semplicità e personalità questo secondo disco dal titolo “Il robot che sembrava me”. Un’autoproduzione che ha numerosi punti fermi a renderlo un ascolto interessante.
Le Frequenze di Tesla realizzano una fotografia per niente scontata della società attuale cercando di restituire allo stesso tempo una lirica che si appoggia su similitudini e metafore davvero quotidiane.
Così l’amore, i rapporti sociali, l’omologazione… i social.
Un sound snello e nostalgico che, se da una parte recita il cliché della più edulcorata forma canzone indie pop, dall’altra si concede derive anni ’70 di beatlessiana maniera. E la cosa ci piace molto…

Le migliori evidenze – il videoclip ufficiale

L’intervista a Le Frequenze di Tesla.

Ci incuriosisce questo nome. Cosa rappresentano le frequenze di Tesla?
Matteo: Le frequenze di Tesla sono onde a bassa frequenza con cui Nikola Tesla teorizzava si potesse far risuonare l’intero pianeta Terra, come una campana. L’idea del nome del nostro gruppo è nata da una scritta su un muro, che diceva “siamo frequenze”. Questo pensiero ci sembrava che, in qualche modo, contenesse una verità e ci piaceva. Da ammiratori di Tesla, abbiamo pensato di unire i due concetti… Ed eccoci qua!
Enrico: ho letto una scritta “we are frequencies”, mi è piaciuta. Con Matte stavamo cercando un nome per il gruppo, abbiamo parlato e…Le Frequenze di Tesla.
Un secondo disco (se non erro)… dunque, come dice qualcuno, un nuovo esordio? O forse è vero che è sempre un esordio questo mondo discografico in cui non resta niente…
Matteo: Un album nuovo è sempre un esordio: forse non sei alla prima esperienza e forse hai già il tuo pubblico… Ma non puoi davvero sapere in anticipo come andrà. Tutto quello che puoi fare è farlo meglio che puoi.
Enrico: sono d’accordo con Matteo, ogni nuovo album è sempre un esordio, che tu sia un musicista emergente o affermato.
Che poi oggi se non passi in televisione non hai mai smesso di essere esordiente…
Matteo: Sì e no: le cose stanno cambiando. Il passaggio in TV è ancora un traguardo importante, ma il modo stesso in cui si guarda la televisione, negli ultimi anni, è molto cambiato. Già adesso ci sono molti gruppi che riscuotono di un discreto successo di pubblico, senza essere mai passati per il “tubo catodico”.
Enrico: Non sono completamente d’accordo, ormai il passaggio in TV pur rappresentando una finestra mediatica importante non ha più il ruolo preponderante che aveva in passato.

La playlist di Novembre targata MIE.

Grandi differenza tra questo lavoro e “Numeri primi”?

Matteo: Quando abbiamo registrato “Numeri primi” ci eravamo conosciuti pochi mesi prima: le canzoni c’erano già e quello che abbiamo fatto è stato organizzarle. Per “Il robot che sembrava me”, invece, siamo partiti da zero, scrivendo i brani intorno a un tema.
Enrico: Le canzoni di numeri primi sono nate come singoli brani, ognuna è un’isola a parte, un numero primo e questo è il principale trait d’union del disco. Il Robot che sembrava me ha un tema fondante che, in modo più o meno esplicito, si trova in tutte le canzoni.
Musica digitale e mondo dei social. E siamo qui a lavorare nella rete di internet. Anche voi, anche noi, tutti siamo vittime di queste “Migliori evidenze”…?
Matteo: Sì, come tutti, viviamo in bilico, attivi e passivi allo stesso tempo; una volta c’erano la televisione e i giornali, i ruoli erano più rigidi e, o eri da una parte o eri dall’altra. Oggi, o social network ti permettono di essere contemporaneamente “star” e “pubblico”, i ruoli diventano intercambiabili e ci siamo tutti dentro.
Enrico: eh si, il concetto stesso di evidenza è diventato molto fluido. Proviamo ad affidarci a “le migliori evidenze” sperando che queste ci guidino e aiutino nelle nostre scelte, spesso tralasciando quanto queste evidenze siano in realtà solo apparenze.
Secondo voi qual è il confine che non si deve mai superare tra mondo digitale e mondo reale? La musica a cosa deve stare attenta?
Matteo: Non è facile rispondere. Per quanto riguarda le espressioni artistiche credo che il terreno sia pieno di “zone grigie”: dovrebbero essere espressioni dell’intelletto umano, parlare della nostra realtà… Ma oggi, nella nostra realtà, le macchine e soprattutto il “virtuale” sono elementi sempre più presenti. Io credo che il mondo digitale vada benissimo, poi, quando senti che ti sta togliendo qualcosa, allora quello è il confine da non superare. Ma non credo che ce ne sia uno solo uguale per tutti. Ognuno ha il suo.
Enrico: Personalmente credo che si debba sempre considerare il mondo digitale al servizio di quello reale. Un rischio potrebbe essere quello di confondere le due cose e dedicarsi al mondo digitale considerandolo non più un mezzo ma un fine.

“Il robot che sembrava me” su Spotify

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