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Gli I-Science raccontano il nuovo singolo Fadjar. L’intervista di MIE.

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la redazione di MIE

Nuovo singolo per I-Science dal titolo Fadjar.
Fadjar è una parte importante del viaggio interiore raccontato nel disco. Fadjar in lingua Wolof significa “aurora”: la canzone infatti parla del momento in cui, dopo la pioggia – che rappresenta il periodo di difficoltà da superare riscoprendo ad amando noi stessi, accettando i nostri pregi e difetti, piangendo, ridendo, sperando e rimettendoci in gioco – il sole torna ad illuminare le nostre vite.

 

Fadjar, il videoclip ufficiale


 

L’intervista a I-Science.

Benvenuti su MIE, il portale dedicato alla Musica Italiana Emergente. Raccontateci il vostro progetto musicale.

I-Science è un gruppo afro-jazz residente in Senegal, ma che rappresenta diversi paesi: Senegal, Italia, Egitto, Gabon, Togo, Spagna, Francia, fondato nel lontano 2008. Suoniamo composizioni nostre che mescolano New Soul, Afro-beat, Rock e Jazz con ritmi tradizionali come il Sabar.

Il nostro sogno è di partire per un viaggio da pirati assieme al pubblico, nel mondo dei sogni e dell’inconscio, alla ricerca del tesoro più grande: il bambino che si nasconde all’interno di ognuno di noi.

Tutti i mezzi son permessi: ritmi potenti, melodie toccanti, performance teatrali e interazione partecipativa. il nostro obiettivo è quello di fare in modo che ognuno torni a casa con le stelle negli occhi e due parole nella testa, o meglio nel cuore: ndeye san (termine Wolof per designare ciò che emoziona e che tocca il cuore).

Facciamo musica per vivere la libertà e per ispirare il più gran numero possibile di persone a essere libere, essendo realmente loro stesse.

 

Parlateci del vostro nuovo singolo “Fadjar”.

Fadjar vuol dire alba in Wolof. Alla base è stato composto a seguito di un’introspezione abbastanza intima, verso la fine delle registrazioni dell’album.

Retrospettivamente mi son resa conto che tutte le difficoltà attraversate durante i tre anni di lavoro sull’album portavano ad un insegnamento umano, sul mio, nostro essere profondo, che ci hanno permesso di crescere e di uscire da alcuni schemi limitanti.

Momenti duri e momenti bellissimi che ci hanno insegnato un po’ più su noi stessi, in quanto individui, membri di un gruppo e membri della società. Fadjar è uno degli ultimi brani che abbiamo composto, verso la fine del viaggio, quando dopo le intemperie cominci a intravedere il primo raggio di sole, che apre la via verso qualcosa di nuovo. Ho avuto voglia di condividere questa esperienza attraverso la musica ed è cosi che è nata Fadjar.

L’abbiamo infatti composta con molta leggerezza: dopo le prove ho cominciato a improvvisare con lo scacciapensieri, il tastierista ha buttato giù qualche nota oceanica, gli altri musicisti ci hanno raggiunto delicatamente e la musica ha guidato il testo, sintesi di ciò che avevamo vissuto.

Non era destinata ad essere un singolo ma quando è scoppiata la crisi del Covid, ci siam detti che il tema era azzeccatissimo perché durante il confinamento molte persone si sono trovate costrette a riflettere su di sé e sulla società nella quale viviamo. Questa rimessa in questione collettiva – scaturita da un momento difficile – rappresenta appunto una nuova alba. 

 

Ascolta MIE Vol.20 – La playlist di Agosto

 

Oggi la situazione per gli artisti emergenti in Italia è tutt’altro che semplice. Qual è il vostro punto di vista a riguardo? Cosa potete dirci invece della situazione della musica indipendente in Senegal?

Effettivamente sarebbe forse stato più semplice darsi all’ippica. Comunque scherzi a parte, ormai i musicisti indipendenti devono diventare veri e propri imprenditori per poter cavarne un ragno dal buco: è necessario pensare alla strategia, ai partenariati, alla grafica, a tutte le tappe di produzione e distribuzione.

Insomma, oggigiorno prima di poter fare musica, specialmente quando si ha un gruppo di musicisti, bisogna fare tutte quelle cose che musica non sono. C’è anche da dire che il mercato è cambiato molto rispetto a prima, dato che la vendita di album non è più realmente fonte di reddito, ma più che altro un CV.

Ormai sono gli spettacoli live e la vendita di merchandising che permettono di generare qualche profitto. In Senegal la situazione è ancora un po’ più complicata perché qui non abbiamo un’industria musicale degna di questo nome e mancano tanti tasselli per poter arrivarci : pochissimi manager e booker, niente vere label, zero case di edizione o di distribuzione. Ciò vuol dire che gli artisti devono praticamente fare tutto da se.

A questo si aggiunge il fatto che per poter fare dei live internazionali bisogna ottenere i visti per i musicisti, cosa tutt’altro che semplice. Detto questo, la passione è passione e quindi quando ce l’hai dentro, volente o nolente, continui a fare musica e trovi mille inventive per poter andare avanti. Si cerca di creare partenariati, collettivi artistici, insomma darsi una mano l’un l’altro per far evolvere il settore. 

 

Quali sono gli artisti del panorama nazionale (o internazionale) ai quali vi ispirate per comporre la vostra musica?

Ce ne sono tantissimi. Le musiche tradizionali di tutta l’Africa dell’Ovest sono già fonte di ricchissima ispirazione per quanto riguarda le composizioni polifoniche, dei ritmi (che hanno ciascuno un significato ed una simbologia propri), della costruzione dei brani.

A questo si aggiungono tutte le produzioni più moderne (Wasis Diop, Ismael Lo, Souleymane Feye e Xalam 2, Manu Dibango ad esempio), la musica Nigeriana, Ghanaian. Poi ovviamente ci sono le ispirazioni degli Stati Uniti o Europee (io personalmente amo molto Erykah Badu, Bobby Mcferrin, gli Area e tutto l’andazzo musicale anni 60/70). Le musiche tradizionali del mondo intero.

C’e da impazzire di creatività con tutte le fonti di ispirazione che esistono! E poi ci sono anche i rumori della vita ad ispirarci : i clacson, le carrette, gli uccelli, l’acqua o le diverse lingue parlate. Anche la lingua e musica in un certo senso.

 

Avete intenzione di promuovere la vostra ultima uscita con una serie di concerti appena la situazione in cui ci troviamo si risolverà?

Assolutamente si! Il live e il contatto con il pubblico sono alla base del lavoro che facciamo e del nostro credo. Quando si è alla ricerca di viaggio (interno ed esterno) e crescita, lo scambio reale con le persone è una delle basi più importanti: porta emozioni forti, uniche, profonde, che ti spingono a vivere ed assaporare realmente il momento presente.

Lo spettacolo dal vivo, da tempi immemorabili, è stato utilizzato per creare catarsi, quel momento in cui, attraverso il sogno e l’inconscio, ci si libera dai fardelli psicologici e dai condizionamenti sociali che ci limitano. Ecco il fondo della nostra missione, del nostro essere. Siamo dei pirati, perdinci!

Vogliamo esplorare il mare del sogno e dell’immaginazione sulla nostra pelle! 

 

Questo singolo anticipa per caso l’uscita di un EP o di un disco?

Assolutamente si! Siamo in procinto (Covid permettendo) di lanciare il nostro secondo album, Ndeye San. Tutta la parte musicale è pronta (evviva!) e ora passiamo alla parte grafica, perché non sarà giusto un album musicale ma piuttosto un progetto multidisciplinare: un piccolo libro, illustrato con disegni e fotografie, che racconterà la storia di un viaggio di pirati nel mare dell’inconscio e della scoperta di se.

Il racconto sarà scritto in testo e ovviamente in musica e il libricino, sarà distribuito in formato fisico e digitale. Prima dell’album però lanceremo un secondo single, Dieuf Dieul (si raccoglie ciò che si semina in Wolof), che parla del fatto di lavorare assieme e che vuole anche sensibilizzare sulla preservazione  delle coste, un problema molto attuale qui in Senegal. Insomma, abbiamo un po’ di carne sul fuoco, speriamo che ne esca profumata e gustosa! 

 

Quali sono – musicalmente parlando – i vostri progetti futuri?

Prima di tutto lanciare l’album di cui sopra. Dopodiché le ultime jam session ci hanno dato nuova materia sulla quale lavorare. Qualche idea di qua e di la.

Ultimamente stavamo anche riascoltando un album mitico di Manu Dibango (Soul Makossa) che ci ha ispirato tantissimo e ci ha dato qualche idea per delle future composizioni. Poi si sa, l’appetito vien mangiando quindi penso che le esperienze live legate all’album a venire ci daranno ancora tante nuove idee e nuovi approcci musicali e artistici in generale. Stiamo esplorando anche i ponti con altre discipline artistiche.

Personalmente mi sto anche interessando sempre più all’utilizzo della musica come strumento terapeutico, ma di questo ne parleremo alla prossima puntata…

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